“Era la seconda o terza sera che ci passavo e, del tutto casualmente, mi trovai in piedi tra le due finestre, disposto obliquamente rispetto a quella sulla sinistra. Girato leggermente lo sguardo in quella direzione, mi apparve improvvisamente visibile una fessura libera tra i due palazzi sul retro della casa. Ed ecco lì sotto la Broadway, nel suo tratto più ristretto e limitato, ma a contare era il fatto che tutta la zona a me visibile appariva riempita da un’insegna al neon, una fiammeggiante pira di caratteri azzurri e rosa che tracciava distintamente le parole MOON PALACE. Vi riconobbi l’insegna di un ristorante cinese che aveva sede nello stesso edificio, poco più in là, ma la forza dell’impatto con quelle parole coprì ogni possibile riferimento e associazione. Caratteri magici, sospesi là nel buio come un messaggio non proveniente da altrove se non dal cielo. Mi venne subito in mente lo zio Victor con il suo complessino [i Moon Men, nota mia], e in quel subitaneo istante di irrazionalità fui abbandonato da ogni paura. Mai avevo provato qualcosa di altrettanto improvviso e assoluto. Una stanza spoglia e sudicia si era convertita in un luogo di interiorità, in un punto cruciale di strani presagi e misteriosi eventi arbitrari. Continuai a tenere lo sguardo fisso sull’insegna del Moon Palace, finché piano piano capii che ero arrivato nel posto giusto, che quell’appartamentino era veramente il luogo dov’ero destinato a vivere.” [tratto da Paul Auster, Moon Palace, Einaudi 1997, traduzione di Mario Biondi].
Capita che un’insegna, evanescente stella cometa nella jungla della città, getti d’un tratto luce sulle ombre dei nostri dubbi, indicandoci nuove prospettive di cammino sulla base dell’interpretazione di segnali promettenti.
Perchè non coglierli, se è proprio questo che ci aiuta a sopravvivere?
S.S.