Seguendo il nostro richiamo, sulle orme – o meglio, sulla scia – dei “tempestosi” racconti anconetani, ecco il gradito apporto di un partecipante al corso svoltosi a Milano lo scorso mese di maggio. Che aspettate a seguire il suo esempio e ad imbarcarvi anche voi? Sul bastimento di RaccontidiCittà lo spazio non manca.
Ma è di nuovo tempo di salpare: buona lettura dalla ciurma di RaccontidiCittà e… occhio ai venti!
Prologo
Da quel momento ad Ancona, per riferirsi a quello stranissimo evento, parlarono della “grande tempesta”. Anche se di una vera e propria tempesta, certo non poteva essersi trattato. Una tempesta dentro al porto, dove mai si è sentito?
Eppure quel boato improvviso, e poi quella scossa che aveva fatto vibrare a lungo le banchine, e poi quell’onda alta a coprire quel poco che rimaneva sotto il cielo improvvisamente naufragato in un’oscurità da interruttore spento per errore – o magari per uno scherzo? –, e poi tutti quegli spruzzi d’acqua, come se una nave fantasma avesse calcolato male le distanze – o i tempi, che poi è lo stesso – durante le manovre per l’approdo. Una nave fantasma, di sicuro, perché una volta calmatesi le acque – è proprio il caso di dirlo –, di navi maldestramente ormeggiate nessuno aveva visto neanche l’ombra.
Inizio
La stanza aveva le pareti bianche, un pavimento lucido e ben levigato mentre solide colonne sostenevano l’intera struttura e terminavano con degli elaborati capitelli corinzi; su un lato, una porta conduceva verso una sala più ampia, mentre sulla parte opposta la luce entrava da un balcone sorretto da quattro sensuali cariatidi.
Nel centro della stanza c’era un’enorme sfera dipinta con molteplici sfumature di blu e azzurri, verdi, gialli e marroni, qua e là piccoli punti rossi e ai due estremi delle zone più chiare, quasi bianche.
“Smettila! Quante volte ti ho detto che non devi infilare il dito nel mare Adriatico?” disse Giove al piccolo Nettuno sorpreso a giocare col Mappamondo, “lo sai che poi sulla Terra si scatenano tempeste e onde enormi.”
Poi, dopo un attimo di silenzio necessario per prender fiato, Giove tuonò “Non voglio un altro Tsunami! Ci siamo capiti?”
Già, lo Tsunami, Nettuno se lo ricordava bene…
Giove e Giunone era andati a festeggiare l’anno nuovo da Venere, “Perfetto!” pensai, ho tutto l’Olimpo per me, “ora organizzo un party con sirene, ninfe e tritoni, così ce la spasseremo.”
Olympic Pie!
Gli dei hanno il loro modo per comunicare tra di loro, anche oggi nell’era dei cellulari ed internet, preferiscono la telepatia: è molto più comoda e veloce e soprattutto è gratis.
Il giovane Nettuno non aveva quasi fatto in tempo a formulare l’invito che già l’Olimpo si era riempito di divinità di ogni rango e sorta.
Beh, forse aveva esagerato un po’, per fortuna che aveva circoscritto l’invito al mondo dei vivi, altrimenti si sarebbe trovato tra le palle tutti quei morti in piedi, per non parlare di Cerbero, che avrebbe trasformato il pavimento in un porcile con quelle sue “zampette” mostruose.
La festa stava andando alla grande, Nettuno aveva già puntato gli occhi su quella ninfa dagli occhi verde mare, quando un vociare alle sue spalle lo allontanò dai suoi appetiti sessuali.
“Per fortuna che siamo arrivati a ravvivare la festa!” biascicò Bacco accompagnato dai suoi fauni, “ambrosia e vino per tutti!”
Gli dei sono gli dei, il vino dei mortali su di loro non ha lo stesso effetto, ma anche loro hanno la loro soglia e, otre dopo otre, alla fine anche l’Olimpo assomiglia alla più squallida delle osterie.
Nettuno, come organizzatore della festa, era sempre il primo ad alzare il calice e a bere e, dopo il centesimo brindisi, avvolto in uno stato di ebbrezza e confusione, vedeva non una ma ben quattro ninfe dagli occhi verdi, “Meglio!” pensò tra sé e sé, “mi divertirò di più”.
La porta, o meglio quattro porte (come le vedeva Nettuno), si spalancarono tutte insieme e fece la sua comparsa Apollo a bordo della sua biga (Apollo amava sempre le entrate trionfali) e portava con sè non una ma ben quattro (sempre le solite quattro) torte!
“Apollo, di chi è il compleanno?”, chiese Mercurio.
“Beh, non vedi Mercurio che c’è una festa, sarà pure il compleanno di qualcuno no?”, ribadì Apollo (forse il troppo il sole gli aveva dato alla testa).
“Ahh ahhhhh”, replicò l’altro, come se gli avessero appena svelato la fine del mondo.
“Anzi”, continuò Apollo, “ora accendo anche le candeline” e la torta (o le quattro torte, a seconda di chi le stia guardando) si accese di luce.
“Nettuno, fratello mio, deve essere per forza il tuo compleanno visto che hai organizzato tu la festa, ecco qua la torta.”
“Ahh ahhhhh”, aggiunse Mercurio, come se gli avessero appena svelato la fine di Beautiful.
“Su soffia sulla torta, spegni le candeline!”
Nettuno, che ormai vedeva non solo quattro torte, ma anche quattro Apolli, non sapendo su quale soffiare, ebbe un vero colpo di fulmine: “le spengo tutte e quattro!”
Così fece quattro profondi respiri e poi soffiò con tutte le sue energie (che sono ben lungi dall’essere paragonabili a quelle degli umani) e non solo spense le candeline, ma scatenò tutti e quattro i venti (in questo caso, quattro veramente), le quattro torte finirono tutte in faccia ai quattro Apolli e… e poi accadde qualcosa di imprevisto…
Il soffio del vento di Nettuno si abbatté sul Mappamondo nell’altra stanza, scuotendolo da cima a fondo…
e tutto il mondo tristemente sa cos’è successo poi…