New York versus Parigi
Come nella pubblicità comparativa, il metodo del confronto – quasi del duello – è un'arte tremendamente efficace per fare emergere l'identità e il carattere delle città; per oltrepassare tutte le barriere architettoniche della superficie alla ricerca, se esiste!, dell'anima più profonda. Ecco qui, allora, l'epica di uno scontro fra Giganti, nelle pirotecniche pagine del famigerato Tropico del cancro di Henry Miller (newyorkese d.o.c. ma dall'animo poco filostatunitense): all'angolo dello sfidante – con il peso di libbre… – New York, indiscussa capitale del '900; al centro del ring Parigi, detentrice del titolo attraverso lunghi secoli di storia europea. Come finirà? "La pioggia era cessata e il sole irrompendo tra le nuvole saponose toccava con fuoco freddo il lucido caos dei tetti. Ricordo ora come il vetturino si sporse e guardò il fiume dalla parte di Passy. Uno sguardo così sano, semplice, d'approvazione, come se dicesse a se stesso: "Ah, viene la primavera!" E lo sa Dio, quando viene la primavera a Parigi il più umile dei mortali viventi deve avere la sensazione di abitare in paradiso. Ma non era soltanto questo: era la confidenza con cui il suo occhio si posava sulla scena. Era la sua Parigi. A uno non occorre essere ricco, anzi nemmeno cittadino, per sentirsi in questo modo a Parigi. Parigi è piena di povera gente: il più nobile e il più sporco branco di mendicanti che abbia mai calpestato la terra, pare a me. Eppure danno l'illusione d'essere a casa loro. È questo che distingue la parigina da tutte le altre anime metropolitane. Quando penso a New York ho una sensazione diversa, molto diversa. New York fa sentire anche al ricco che egli non conta nulla. New York è fredda, scintillante crudele. Gli edifici ti dominano. C'è una specie di frenesia atomistica nell'attività che va avanti; quanto più furioso il passo, tanto più sminuito lo spirito. Un fermento continuo, ma potrebbe benissimo avvenire in una provetta. Nessuno ne sa lo scopo. Nessuno indirizza l'energia. Stupenda. Bizzarra. Sconcertante. Una terribile spinta reattiva, ma assolutamente priva di coordinazione.Quando penso a questa città, dove sono nato e cresciuto, questa Manhattan di cui canta Whitman, una rabbia cieca, bianca, mi sfiora le budella. New York. Le prigioni bianche, i marciapiedi brulicanti di vermi, le file del pane, gli spacci d'oppio che si costruiscono come palazzi, gli ebrei che ci sono dentro, i lebbrosi, i sicari, e sopra tutto, l'ennui, la monotonia dei volti, strade, gambe, case grattacieli, pasti, manifesti, mestieri, delitti, amori … Una città intera eretta sopra una vuota fossa di nullità. Senza significato. Assolutamente senza significato. E la Quarantaduesima Strada! La vetta del mondo, la chiamano. E il fondo allora dov'è? Se vai con la mano tesa, ti mettono cenere nel berretto. Ricchi o poveri, camminano con la testa buttata all'indietro e quasi si rompono l'osso del collo per levare lo sguardo sulle loro bellissime prigioni bianche. Vanno avanti come oche cieche e i fari spandono sui loro volti vuoti chiazze di estasi". L.S.