Schiavi della speranza (di Agnese Zammit)
Acqua, acqua
in ogni dove
e non
una goccia da bere.
(Samuel Taylor Coleridge)
Si resta schiavi
finché non si è guariti
dalla mania di sperare.
(Émile M. Cior)
Considerava la dialisi come la sua condanna ed ora invece all’improvviso era la sua salvezza.
Da quando i suoi reni avevano smesso di funzionare e gli era stata negata la gioia di bere, il disagio maggiore era di dover sempre, in ogni momento, centellinare l’acqua: “poca, quasi niente” questa era stata la sentenza dei medici.
Non potendo espellerla doveva limitarla e se voleva godersi una bevuta di birra o un brodino caldo o qualsiasi altro liquido, l’acqua, per lui, non doveva quasi più esistere. Sua moglie Ada faceva di tutto e di più per non fargli pesare la cosa, ma nella sua mente dominava il pensiero di “non poter bere”, soprattutto ora che il caldo estivo iniziava a sentirsi veramente. Quel comunicato agli abitanti di Ancona più che irritarlo l’aveva sollevato: adesso lui aveva un vantaggio, era tra gli eletti, coloro che non avevano bisogno dell’acqua per vivere, anzi l’acqua era da quel momento, per tutti, l’oggettivazione della morte.
Uno speciale del TG Nazionale, aveva infatti interrotto la trasmissione che, annoiato, Raffaele guardava ed il giornalista dallo schermo della sua Tv stava leggendo un comunicato stampa:
“Interrompiamo le trasmissioni per una notizia che giunge ora in redazione. I normali controlli dell’acqua potabile, effettuati a campione dall’azienda municipalizzata dei servizi di Ancona, in collaborazione con l’ARPAM, Agenzia Regionale per l’Ambiente, hanno isolato in alcune zone della città un agente batterico sconosciuto. Al momento sembrano escludersi sia la tossicità di tale agente per le persone che eventuali possibilità di contagio.
L’ équipe del premio Nobel giapponese per la biologia, Haruki Horyama, coinvolto dalle autorità sanitarie, si sta già occupando degli accertamenti del caso tramite collegamento in videoconferenza con gli esperti della clinica di Biologia dell’ Università Politecnica delle Marche.
L’azienda municipalizzata si scusa per le eventuali interruzioni del servizio di erogazione idrica.
Ecco ora alcuni consigli del Ministro della Protezione Civile su come comportarsi: “Non c’è motivo di allarmarsi. In attesa degli esiti definitivi degli esami di laboratorio, è comunque consigliabile bere solo acqua imbottigliata. Evitare, in ogni caso, il contatto con la pelle, i capelli e qualsiasi tipo di inalazione”.
Raffaele era lì incredulo di fronte al televisore. Da quel giorno tutti, proprio come lui, avrebbero dovuto imparare a temere l’acqua.
Gli giungevano voci di persone agitate, e le strade si intasavano di auto che, cariche di contenitori e taniche, si dirigevano verso località vicine per fare scorta del liquido ormai prezioso.
Il loro era un quartiere misto, accanto ad edifici di buon livello si ammassavano case popolari; accanto a persone eleganti e distinte vivevano persone umili che avevano imparato l’arte di arrangiarsi con quel poco che la vita gli dava.
Vallemiano era tra le zone di Ancona che, prima verde, era stata inglobata nel semicentro dall’estendersi della città; le vecchie palazzine a due piani ed i caseggiati popolari avevano visto, con il tempo, crescere le eleganti case dei professionisti. Tra tutti correva implacabile la rete ferroviaria; il fosso Conocchio, dopo l’alluvione del 1959, era stato coperto, ma ciò non era bastato, infatti spesso ricordava a tutti la sua esistenza con un maleodorante olezzo di fogna; gli spazi prima verdi ora ospitavano alcuni parcheggi scambiatori, una chiesa, una piscina. Una palestra ed alcune aziende meccaniche. Tutto sommato era una zona vivibile dove, comunque, erano garantiti sia servizi commerciali che servizi ai cittadini.
Lui aveva ascoltato il comunicato ma insieme a pochi altri, “gli eletti” dal destino, non si sarebbe mosso. Era vero, le necessità erano tante: cucinare, lavare… L’acqua è vita, ne erano tutti schiavi, tranne lui.
Se l’emergenza non fosse durata molto, aveva diverse scorte, a lui serviva pochissima acqua, gli sarebbe certamente bastata, con calma poteva raggiungere il paese di suo zio e recuperarne un po’. Lavarsi? Non era un problema! L’estate, poi, gli avrebbe garantito la possibilità di tiepidi bagni nell’azzurro mare Adriatico.
La malattia aveva trasformato Raffaele. – Io ho sposato un’altra persona – era solita dirgli Ada. L’uomo infatti ora era divenuto egoista ed egocentrico. In questa occasione Raffaele era in pace con se stesso e soprattutto aveva fatto pace con il mondo e la vita, da mesi non si sentiva così ottimista. Di una cosa era assolutamente certo: l’Ospedale non avrebbe avuto problemi di acqua e lui lì doveva starci quattro ore e mezzo tre volte la settimana, un tempo inenarrabile prima, ora prezioso e rassicurante. Che gli importava degli altri! Era un miracolo.
Queste sue riflessioni furono interrotte più volte dalle telefonate di amici e parenti, agitati, disperati, mentre le sue risposte nascevano fredde, staccate, un po’ acide: – che volete da me, io non ho problemi! Che ne so, arrangiatevi!
Nessuno poteva permettersi di sgretolare quella sua prigione improvvisamente diventata di cristallo.
Era perso in questi pensieri quando Ada lo richiamò alla realtà. Non poteva non ascoltarla, sua moglie era l’unica persona che gli era rimasta sempre vicino, quella che nelle giornate peggiori, quando non si sentiva bene, o non si reggeva in piedi, dopo la dialisi, gli dava una mano a tirare avanti, i figli erano la sicurezza di un futuro per lui veramente incerto: quanto avrebbe vissuto ancora con la dialisi?
Ada era una donna di quaranta anni dall’aspetto fragile ma dall’anima di acciaio, soprattutto dagli occhi penetranti, quegli occhi che sembravano trapassare il presente e creare un futuro, il suo e quello di chi l’ascoltava.
Avevano tre figli, due gemelli di dieci anni, Fabrizio e Roberto, ed una bambina di dieci mesi, Federica, con qualche problema sì, ma adorabile. Ada era una donna non bella, ma piacevole, sapeva parlare di tutto e con tutti, aveva una forza d’animo che si comprendeva già al primo sguardo. Era quella stessa forza che aveva aiutato lui a superare quel muro irto di lame che era stato l’impatto con la cura.
Aprendo la porta della camera gli si era presentata circondata dai ragazzi, come una chioccia che protegge i suoi pulcini, gli occhi spalancati in uno sguardo di terrore: – Hai sentito? Ora come farò? Cosa berremo, cosa mangeremo? Come ci laveremo?
Raffaele, con il sorriso sarcastico stampato nel viso: – Allora? Io faccio a meno dell’acqua? Non c’è bisogno di agitarsi tanto! – disse con un tono da cui trapelava la colpa di Ada di avergli distrutto, per un attimo, ma solo per un attimo, il suo paradiso.
- Ma come, non capisci? L’acqua è la vita, la vita nasce e cresce nell’acqua, se tutte le fonti, i tubi, le pozze di Ancona sono contaminate, non sarà solo impossibile bere, cosa di cui tu non hai alcun bisogno – aggiunse quest’ultima frase imitandolo alla perfezione – ma anche la frutta, le verdure, il lavarsi, il cucinare… tutto sarà impossibile! Come faremo con loro? – disse indicando con un gesto circolare i figli intorno a lei.
- Ma dai… non ci crederai più di tanto… sarà una situazione breve!
- Col cavolo breve, questi dicono che è tutto sotto controllo, ma poi mobilitano scienziati internazionali… c’è qualche cosa di più grave… credimi! E se dovesse durare a lungo? Dobbiamo organizzarci!
- Secondo te cosa potremmo fare? Partire come tutti gli altri, comprare scorte d’acqua, che sicuramente ti faranno pagare a prezzo d’oro, sempre che le trovi? Cambiare città? Ma dai…! Non abbiamo neanche i soldi per farlo!
Raffaele era ora nel soggiorno, lei seduta sul divano, la piccola tra le sue braccia girava lo sguardo curiosa e contenta, un po’ perplessa dallo scambio tirato di parole e dal tono agitato dei genitori.
I gemelli, come sempre, avevano iniziato a curiosare tra i ripiani della libreria, zeppi di libri e di altre cianfrusaglie, ricordi di alcuni viaggi che il padre aveva fatto prima che la catena della dialisi lo legasse indissolubilmente al suo porto; lui infatti prima lavorava come ufficiale di marina imbarcato in una importante nave passeggeri, per essere precisi una bella nave da crociera.
Fabrizio e Roberto non erano abituati a vedere per casa il padre, spesso in viaggio, ma sapevano che, quando la mamma era così agitata, era meglio stare buoni.
Di solito i venti di tempesta aleggiavano quando erano a corto di denaro ma per fortuna lei trovava sempre e comunque una soluzione. Anche questa volta si sarebbe “rimboccata le maniche” ed a dispetto di tutti e tutto avrebbe trovato un rimedio. Non lo sapevano, ma in effetti la loro mamma era riuscita a superare il periodo del terremoto nel 1972, durato più di un anno, dove la gran parte delle case e delle aziende di Ancona era stata danneggiata e la gente era rimasta senza lavoro, e che dire della famosa frana del dicembre 1982, che aveva distrutto due interi quartieri? Molti, tra cui Ada, avevano dovuto ricominciare, per l’ennesima volta, tutto da capo.
I gemelli avevano capito il problema: non si poteva più usare l’acqua, ma loro così piccoli che cosa potevano fare per aiutare la loro mamma?
Raffaele iniziò, come spesso accadeva negli ultimi tempi, a sentire il bisogno di uscire, di prendere aria. Non potendo sfuggire agli obblighi di cura, aveva inconsciamente elaborato una raffinata strategia di fuga, e anche questa volta sentiva il bisogno di evadere.
Non rispose alle domande della moglie, ma esordì dicendo: – Devo uscire. Ho bisogno di aria, non ne posso più di stare chiuso qui dentro!
- Ma dove vai, non ti preoccupi di noi? Non credi sia più utile pensare a cosa fare? – disse Ada, pur sapendo che quando era in fuga era inutile fermarlo.
Raffaele doveva trovare una risposta plausibile, sapeva che sua moglie soffriva quanto lui e non voleva ferirla più di tanto: – Vado a vedere di persona che cosa succede, ho bisogno di pensare, vedrai che quando torno avrò trovato una soluzione… spero.
Aprì la porta di casa, scese rapidamente le scale diretto… neanche lui sapeva dove.
Prese al volo il primo autobus che passava. Scese subito dopo la Galleria del Risorgimento, il tunnel in quel momento intasato di auto e dall’aria incredibilmente inquinata, che collegava il centro con il suo quartiere.
Scese alla prima fermata, davanti alla chiesa Della Misericordia, e si diresse a passo lento – non poteva permettersi di più – verso l’inizio del Viale della Vittoria.
Iniziò a percorrere il Viale della Vittoria sotto l’ombra amica degli alberi.
C’era molta gente che a piedi ed in fretta si dirigeva verso la centrale Piazza Cavour, ma man mano che in salita si avvicinava a Piazza Diaz, a metà percorso, la gente si diradava. Oltre la piazza era praticamente solo.
Poi si sentì improvvisamente stanco, non era più abituato a camminare così a lungo, si sedette su una panchina, nell’attesa di riprendere fiato.
La camminata gli aveva fatto bene, il dover concentrare tutte le energie nel movimento e nella respirazione avevano fatto passare in secondo piano i problemi dell’acqua.
Non c’era quasi anima viva. In effetti oltre a lui stava passando Silvana, con la sua radio e la sua bottiglia d’acqua: anche questa situazione di emergenza sembrava non aver scalfito le sue strane abitudini.
Era seduto da pochi minuti, quando vide passare anche “il pescatore”.
- Ecco ci siamo tutti, i meglio di Ancona, i più strani – pensò tra sé.
In effetti il pescatore era un personaggio molto noto nella città per il suo modo di vivere: schivo, chiuso nelle sue abitudini, viveva una vita a parte, amava il mare e dal mare recuperava quello che gli serviva per vivere: il mangiare ed il bere.
Era noto per abitare alla Palombella, in una vecchia pesca costruita alla fine del 1800 sulla scogliera parallela al Golfo di Ancona. L’aveva ristrutturata da solo, era la sua casa da sempre.
Di lui era conosciutissima l’abitudine di bere l’acqua di mare dopo averla depurata con un metodo tutto suo.
Questo pensiero lo colpì come un fulmine: ma certo, proprio lui, un lupo di mare, non ci aveva pensato. Si alzò di scatto e velocemente, per quello che gli permettevano le sue gambe, e si avviò verso casa.
Rientrò a casa sotto lo sguardo stupito di Ada, ansimante e raggiante. Ma subito Fabrizio, che era, dei due, quello più attratto dalla vita di mare, chiamandolo come era suo solito “capitano”, disse: – Capitano, ma come fanno i marinai a bere l’acqua di mare?
I suoi ragazzi avevano avuto la sua stessa idea!
Raffaele non era capitano, ma il sentirsi chiamare con la carica che avrebbe avuto se gli fosse stato ancora possibile svolgere quel lavoro, lo induceva sempre ad essere gentile e ad ascoltarli.
Quella parola detta dal suo ragazzo era come una carezza che gli leniva le ferite della vita, e in quel momento la risposta lì per lì gli venne automatica: – Bravo Fabrizio, anche tu ci hai pensato? I marinai non la bevono, l’acqua salata non si può bere, non hai sentito che quando fai il bagno al mare e ti va in bocca fa schifo? Anzi fa proprio male. Le navi per questo hanno delle macchine, i demineralizzatori o desalinizzatori che, attraverso delle resine, depurano l’acqua e la rendono potabile od almeno utile per gli usi di tutti i giorni… lavare e lavarsi o cucinare, ad esempio… – mentre diceva questo fu come se nella sua mente si aprisse un sipario, la frase gli rimase a metà.
- Ma certo Ada, capisci, abbiamo la soluzione…
- Che caspita dici, ti pare il momento di spiegare ai ragazzi come vivono i marinai? Dobbiamo trovare un modo, un modo veloce e sicuro per sopravvivere!
Ada era inviperita, prima della dialisi capiva Raffaele, godeva della sua affabilità e si crogiolava nei suoi racconti di viaggio, ma dopo che lui aveva iniziato la cura, si era rinchiuso come in un guscio, in un’armatura irta di spini. Anche fisicamente era cambiato, la sua pelle aveva perso il colore del sole, era ingrigita, sul viso erano comparse numerose sottili rughe, i capelli folti e scuri si erano diradati, e forse un po’ scoloriti, insomma era invecchiato: all’improvviso dimostrava dieci anni di più dei suoi cinquantatre.
- Ada, stammi bene a sentire. La nave quando è in mare è come una piccola città, autonoma in tutto, anche per l’acqua. Ci sono i depuratori che trasformano l’acqua di mare – acqua non utilizzabile perché inquinata o infestata da microrganismi – in acqua dolce potabile.
- E allora… non siamo mica in una nave, siamo in questa maledettissima città che ha una sfiga dietro l’altra…
- Appunto, siamo in una città. Una città di mare, circondata dall’acqua salata, con un porto e tante, tante navi attrezzate per depurarla, e non solo le navi, ma anche molte delle industrie di Ancona hanno sempre avuto problemi con l’acqua troppo ricca di calcio e quindi….
- Quindi anche loro dispongono di depuratori…
- Certo, ottimi depuratori. Zitta, zitta: ora in TV stanno dando le ultime notizie… cerchiamo di capire se si può trovare qualcuno con cui parlarne!
L’abitudine che aveva acquisito di risolvere i problemi aveva ripreso il sopravvento.
- Ma dai, vuoi che qualcuno non ci abbia già pensato?
- Sai com’è la classe dirigente: molte parole, molte carte, molti studi, ma poche soluzioni… in Ancona ci siamo sempre risolti i problemi da soli, senza l’aiuto di nessuno, tu dovresti saperlo meglio di me, no? Accendi la TV, sentiamo se ci sono novità…
Il messaggio letto da un solerte giornalista era quasi la copia perfetta di quello della mattina, ma ora il nazionale diceva che era stata istituita in Ancona una unità di crisi presso la Prefettura ed indicava il numero verde a cui chiamare. Continuò a ripetere che non esisteva una grave situazione di allarme e che le autorità competenti si stavano già attivando per provvedere alle necessità della popolazione.
Immediatamente provarono a digitare il numero verde, che risultava o libero e nessuno rispondeva o rinviava alla cornetta il segnale di “linea occupata”: un funereo ripetuto tu… tu… tu… che non faceva presagire nulla di buono. Le autorità o erano occupate o non c’erano per niente.
Intanto Fabrizio e Roberto avevano preso le “Pagine Gialle”: – Guarda mamma quante fabbriche… forse questa ha il depuratore, oppure quest’altra…
L’elenco comprendeva Bedetti, Giampaoli, Fiorente, Genny, Anconpesca, i Cantieri Navali, gli Ospedali, e così via, ed i due ragazzi facevano a gara a chi ne trovava di più.
Ada esplose: – Raffaele è una battaglia persa, lascia perdere!
Raffaele le rispose pensieroso ma convinto: – Conosco molta gente, ancora ho molti amici …
Sì, amici, amici veri, quegli stessi che anche quando era stato male avevano cercato di stargli vicino ma che lui, impegnato a piangersi addosso, aveva scansato in maniera brusca.
La Capitaneria di Porto, l’Autorità Portuale, i Pompieri marittimi… ma quanti di quelli che conosceva ancora erano lì? Doveva anche tenere conto che il giorno dopo non avrebbe potuto fare nulla: aveva la seduta dialisi, la giornata l’avrebbe passata in gran parte all’Ospedale di Torrette e a casa steso sul letto.
Non voleva arrendersi, questa volta no: lui era tra gli “eletti” e questo gli ridava sicurezza.
Si rivolse ad Ada: – Senti, io domani sono incastrato in Ospedale, dovrai farlo tu…!
- Fare cosa?
- Io ora chiamo il Comandante della Capitaneria di Porto e gli spiego l’idea. Ti preparo un progetto, ma tu domani ci vai, vai là a nome mio, penso proprio che potremmo farcela gestendo bene le risorse di Ancona. E dovremo fare tutto con la buona volontà degli anconetani, come sempre, intanto per il resto del mondo sì e no che esistiamo, non ti sei accorta? Neanche nelle previsioni meteorologiche nominano mai le Marche, in nessun canale! Sì che possiamo aspettare aiuti rapidi da Roma… o dalle altre Regioni… !
Aveva trovato qualche difficoltà, ma alla fine, presentandosi con la sua qualifica di ufficiale, Raffaele era riuscito a parlare con il Capitano Di Francesco.
Giovanni Di Francesco lo conosceva: era una persona pratica che cercava di risolvere rapidamente i problemi, e quanto stava accadendo metteva in pericolo la città, i suoi uomini e soprattutto la sua carriera.
Raffaele era stato telegrafico, dicendogli che aveva trovato una soluzione, ma aveva necessità di un’autorità che portasse l’idea ad un tavolo decisionale. Gli era sembrato interessato ma perplesso, soprattutto quando aveva dovuto spiegare che l’indomani non sarebbe andato lui, ma sua moglie Ada.
Cercando di lanciare un aggancio di interesse forte aveva concluso la telefonata con un: – Ti mando un progetto, il più dettagliato possibile, poi ci risentiamo.
Era ormai sera inoltrata e la casa sembrava essersi trasformata in un quartier generale.
Raffaele continuava a scrivere velocemente al computer, i ragazzi continuavano a suggerirgli nomi di aziende o ditte, in modo che lui, se lo riteneva, le inserisse tra quelle idonee o meno a supportare il progetto.
Raffaele non aveva la certezza su tutte, ma meglio una di più che una di meno. Ada invece lavorava ad uno schema a rete – l’individuazione di punti di assistenza e distribuzione – collegando in una cartina di Ancona e provincia le sedi delle ditte ai quartieri in sofferenza.
L’alba li trovò come accampati: Fabrizio e Roberto dormivano con la testa appoggiata alla scrivania, Ada nel divano con la bimba abbracciata e Raffaele ancora batteva sulla tastiera, tanto lui avrebbe potuto dormire tutta la mattina nel letto dell’ospedale.
Le strade non avevano mai smesso, neanche di notte, di brulicare di persone, che come le formiche correvano da una parte all’altra del quartiere, arrivavano e ripartivano, scaricavano e brontolavano. Ora invece con lo schiarirsi del cielo sembrava che tutto avesse perso la forza, i ritmi rallentavano, le speranze diminuivano, come se la soluzione del tragico problema fosse quella di congelarsi stupiti in un presente senza futuro.
Fu Federica a svegliare mamma e fratelli, accarezzò le gote di Ada e chiamò: – Tato… Tato – per attirare l’attenzione dei due ragazzi.
Ada si stirò, notando che anche lei iniziava ad avere qualche acciacco: – Oddio la mia schiena!
Era tutta indolenzita e le ginocchia scrocchiarono appena le piegò e le appoggiò a terra: – Forse invece di accorgermi che Raffaele invecchia, dovrei dare una revisionata anche a me stessa… – pensò ridendo.
Ora le era più facile sorridere. L’idea di Raffaele, dopo una pausa di sonno e soprattutto la realizzazione pratica della rete di assistenza, non era malvagia e soprattutto non sembrava così difficile attuarla: quella ragnatela sarebbe stata la salvezza di Ancona e dei suoi abitanti.
- Hai finito? – gli chiese.
- Quasi… quasi, aspetta un attimo lo stampo e comunque te la metto su un dischetto. Avevano ragione i ragazzi: le risorse ci sono, e tante… guarda qui: dieci pagine di aziende! Ecco, tieni. Mi raccomando, da questo dipende la salvezza di Ancona, e se va tutto bene noi saremo gli eroi – disse scherzando, ma non troppo. Gli piaceva l’idea di essere importante, si sentiva leggero.
- Quasi, quasi non ci vado a fare la seduta dialisi… vorrei proprio essere lì con te e vedere la faccia di Di Francesco…
- Sei pazzo, – rispose Ada – lo sai che non puoi saltarla, tanto più in questi giorni… – Poi, quasi offesa: – Non ti fidi di me, vero? Per chi mi hai preso? Sono io che ho più bisogno di te dell’acqua, in fondo a te non te ne frega niente, mi pare…! – aggiunse in tono un po’ troppo alto.
- No, no hai ragione tu, ma non ti far fregare, molti di quelli che contano sembrano divertirsi a farti sentire una pezza da piedi, anche se hai tutte le ragioni di questo mondo. Per fortuna, a dire la verità, Di Francesco non è proprio uno di quelli, ma avrà il suo bel da fare a farsi sentire a sua volta.
Vado a prepararmi, vai anche tu e portati i ragazzi, può essere utile per far capire che è un progetto concreto e realizzabile. I giovani sono il futuro, lo devono fare per loro, se non per noi. Ci rivediamo all’ora di pranzo.
Si lasciarono ognuno con il proprio fardello: la vita.
Raffaele non si aspettava di trovare problemi anche in Ospedale ma, se pur non così evidenti, c’erano.
Il clima nel reparto era un po’ teso, sopra le righe. L’acqua e l’inquinamento batterico erano gli argomenti di tutti i discorsi.
L’Igiene Ospedaliera e il Servizio Tecnico stavano eseguendo controlli speciali ed approfonditi sull’acqua che i demineralizzatori fornivano alla dialisi, i pazienti arrivavano in ritardo, sia quelli in auto che in ambulanza, il traffico era incredibile. Anche lui arrivò tardi, ma non fu un problema: l’attacco dialisi era stato posticipato di mezz’ora.
Si mise sul letto bilancia, attese che gli mettessero i due aghi per la circolazione extracorporea, che il monitor avviasse il suo lavoro di depurazione e si addormentò di colpo, come non gli era capitato mai in quegli ultimi cinque anni. Era sfinito ma tranquillo.
Ada, invece, fu costretta ad una lunga attesa. Gli autobus erano presi di assalto ed i ragazzini, soprattutto Federica, le ostacolavano i movimenti. Ci mise più di un’ora per giungere al Porto. Il traffico di tir e di gitanti che partivano per la Grecia con i traghetti sembrava più che raddoppiato, una confusione terribile. Si fece strada con uno slalom tra i bisonti a 12 ruote ed entrò in Capitaneria.
Lì trovò una calma incredibile, un altro mondo, chiuso nella sua routine di carte, bolli e liste passeggeri. In prima battuta si sentì intimorita, ma poi ci ragionò su e decise che forse era meglio così, avrebbe avuto una chance in più, avrebbe avuto più tempo per spiegare, senza tante interferenze.
Trovò un giovane sottoufficiale di Marina a cui chiese informazioni: – Buon giorno, ho un appuntamento con il Comandante, sa dirmi dove posso trovarlo? – seguì le indicazioni che le avevo dato il giovane e passando per un lungo corridoio bussò alla porta dell’ufficio che una chiara e semplice targa indicava come quello del Comandante Di Francesco.
Il responsabile della Capitaneria di Porto era alto, elegante. Il viso aveva un’aria tirata e preoccupata, ma le sue maniere erano quelle pacate di chi è abituato ad affrontare problemi per sé e per gli altri.
Di Francesco squadrò perplesso e con aria interrogativa Ada ed i suoi figli.
- Buongiorno – disse Ada rispondendo allo sguardo interrogativo – sono la moglie dell’ Ufficiale Giorgetti…
- Prego, si accomodi. Sì, sapevo che sarebbe venuta, ma spero sinceramente che lei mi possa spiegare di più. Conosco Raffaele e lo stimo, ma sarebbe un vero miracolo se la sua idea potesse aiutarci in questa malaugurata situazione…
- Senta, a me più che a lei sta a cuore vivere e far vivere i miei figli… – esordì Ada circondando i gemelli con l’unico braccio lasciato libero da Federica – … parliamoci chiaro, non credo che abbiate sotto mano soluzioni e questa potrebbe essere l’unica alternativa da giocare. Il progetto lo abbiamo fatto insieme con Raffaele. Non sono una tecnica, ma come tutte le mamme e le donne sono abituata a superare i problemi, studiandoli, cercando le risorse, anche arrampicandomi sugli specchi. Sono certa che questa è stata la mia migliore performance, voglio e vogliamo vivere. Tuttavia devo ammettere che non basta avere idee o fare progetti, qui il problema è vasto e la soluzione coinvolge forse tutti. Molte speranze dipendono da lei e da chi ha il potere di cambiare le cose. Mi faccia spiegare e cerchi di capire, anche se non uso i termini tecnici a lei abituali… sa, sono una semplice ragioniera…
Ada si lanciò nella descrizione entusiastica del progetto. In effetti un pochino lo enfatizzò: un po’ di carica non poteva far male con i burocrati. Ci credeva, era come se la vita del pianeta dipendesse da lei, era la protagonista di un film. Soprattutto, si stava decidendo la vita.
L’ufficiale l’aveva ascoltata, scorrendo con lo sguardo i fogli stampati da Raffaele.
Dapprima sembrava nutrire forti dubbi: possibile che due persone normali avessero trovato le soluzioni che scienziati ambientali, autorità e protezione civile non trovavano? Ma, man mano che il progetto si concretizzava in azioni ed iniziative, le cose gli si chiarivano, anzi di più, prendevano vita e saltavano agli occhi come ad uscire dalla nebbia che gli stava martellando da quarantotto ore il cervello.
Ada aspettava, aveva creduto che gli sarebbe stata dimostrata gratitudine, almeno uno slancio di entusiasmo. Invece Di Francesco stava lì immobile, incredulo, congelato.
Doveva fare qualche cosa, ma cosa?
Fu invece Roberto a sbloccare la situazione, chiedendo: – Crede, signore, che ce la faremo anche questa volta?
La sua voce suonò come una sveglia, una tromba argentina in quel silenzio imbarazzante.
L’ufficiale lo guardò, sorrise: – Sì, credo di sì, giovanotto, se fosse – come credo che sia – la trovata più semplice e geniale dell’ultimo secolo. Sì, a patto che io riesca a coinvolgere i responsabili. Vede signora – disse poi rivolgendosi ad Ada – io credo che possa anche funzionare, ma è necessario convincere il Prefetto, il Sindaco e gli operatori industriali o comunque tutti coloro che dispongono di depuratori d’acqua… ci vuole tempo, ma il tempo è proprio quello che ci manca. Va bene, facciamo così: a questi signori ci penso io. Diciamo che, prima di sera, vi saprò dire qualche cosa. Chiederò una riunione e voi, lei e Raffaele, ci dovrete essere. Noi siamo la città, ma voi siete i cittadini. Torni pure a casa, vi farò sapere appena possibile.
Per Ada era stata come una doccia fredda. Non era finita… cosa avrebbero fatto tutti questi personaggi nuovi? Sembrava di essere in una commedia, ma la commedia non è reale, invece questa era una situazione vera e c’erano in gioco vite vere. Comunque ringraziò, – Grazie Comandante, ora siamo nelle sue mani, faccia tutto il possibile, ma soprattutto faccia presto! – diede a Di Francesco il telefono di casa e, salutando, si ritrovò a fare il percorso verso casa.
Roberto e Fabrizio la tempestavano di domande. Rispondeva infastidita: non aveva le risposte che si aspettavano e tornare a casa era un’impresa. La gente sembrava essere tutta per strada, non avere alcun scopo, alcuni giravano per la città attoniti, altri come se avessero impegni sovrapposti, altri non erano andati al lavoro, mentre chi era al lavoro non sapeva cosa fare. Erano saltate tutte le regole, tutta l’organizzazione della città.
Sfinita giunse a casa, preparò il pranzo ed attese.
La sua vita era stata tutta un’attesa: del futuro, del marito, dei figli, del lavoro. Attendere senza poter far nulla… questo la faceva veramente arrabbiare.
Raffaele arrivò, ma non si sentiva bene. Aveva la pressione bassa, gli girava la testa e lo stomaco gli dava sensazioni di nausea.
Ada riassunse rapidamente l’incontro, voleva parlarne ma lui ascoltò distratto, assentì con la testa, non mangiò nulla, poi sfinito, si addormentò. Dormì per un paio di ore. In quelle due ore il telefono rimase muto.
Roberto e Fabrizio colsero l’attimo di pace per telefonare a Paolo, il loro amico di sempre. Fecero un racconto avventuroso, un po’ confuso, fino a che le cornette del telefono non passarono alle due madri: Ada mise al corrente l’amica che probabilmente c’era una soluzione, cercò di tranquillizzare Sara, spiegò quello che stavano facendo e le promise di tenerla al corrente. Dall’altra parte del filo si sentì un sospiro quasi di liberazione e da lì poi iniziò un tam tam di informazioni che in Ancona, ed oltre, raggiunse numerose case e persone.
Al risveglio a Raffaele ci volle un po’ prima di riprendere i fili di che cosa stava accadendo, era come uscire da un lungo letargo senza sogni e senza vita. Ma ora andava un po’ meglio, poteva farsi raccontare da Ada come era andato l’incontro in Capitaneria.
- Bene – disse, dopo aver preso coscienza dell’appoggio della Capitaneria, ma anche dei dubbi riguardo a tutti gli altri – se fra un’ora non chiama lui, richiamerò io! Qui bisogna muoversi!
Di Francesco non chiamò.
Lo squillo giunse dopo due ore. Era già sera.
Da quel momento le cose cominciarono a girare velocemente: la convocazione in Prefettura era immediata, l’urgenza era tale che sarebbero venuti a prenderli con un auto di Stato.
- Bene, forse a questo mondo c’è ancora chi ragiona, oppure la situazione è talmente disperata che non hanno alternative. Va bene così, comunque! Ce l’abbiamo fatta! Qualcuno dei grandi papaveri sembra che abbia finalmente capito! – disse ragionando ad alta voce.
Ada anche in questa occasione portò con sé i ragazzi. Non aveva alternative: non sapeva a chi lasciarli – Va bene così! – disse ragionando ad alta voce.
Il tempo di vestirsi e scendere le scale e l’auto, con l’autista, era già davanti al portone.
In soli pochi minuti arrivarono presso Prefettura, in Piazza del Plebiscito, che tutti chiamano Piazza del Papa, la bomboniera di Ancona.
La Piazza, testimone silenziosa di tanti fatti e di tanta storia della città, anche questa volta avrebbe vissuto un momento che, in futuro, gli anconetani avrebbero ricordato per molto, molto tempo.
Raffaele ripassò, nella propria mente, i punti principali del progetto. La sua era solo un’idea: ad altri il compito di valutarne la fattibilità e realizzarla.
Giunsero in Prefettura, dove nella sala li attendevano già le maggiori autorità cittadine, i responsabili della Regione, del Comune, della Protezione civile, delle forze militari e paramilitari di supporto alle situazioni di crisi, gli scienziati e, tra loro, uno sparuto gruppo di giapponesi. Accanto ad essi un indaffaratissimo interprete che sussurrava all’orecchio di un uomo distinto, un po’ trasandato e forse demodé, con occhi vispi e penetranti: sicuramente il braccio destro di Haruki Horyama, Nobel per la biologia, inviato appositamente in Ancona.
- Benvenuti, vi stavamo aspettando – esordì Di Francesco girandosi verso il centro della sala. Anche lui sembrava avere sulle spalle un peso, un peso enorme.
Presentò uno per uno i presenti, spiegandone anche gli incarichi ed i ruoli: – Ho già informato tutti e distribuito una copia del suo progetto. Sembra veramente interessante. Prima di prendere decisioni volevano però sentirvi direttamente. Avanti, Giorgetti, esponga a questi signori il suo piano.
La seduta di svolse in un clima di grande attenzione, le domande a Raffaele furono tante poi, come se fosse cambiato d’improvviso il film, ognuno iniziò a fare proposte, a misurare i tempi, a prendersi compiti. La notizia principale era che il batterio non poteva essere presente o sopravvivere in un ambiente altamente salino, come chiarì lo scienziato giapponese, quindi l’idea era ottima, dato che l’acqua di mare non ne era contaminata.
Dopo due ore, era pronto un piano di emergenza, con avvio immediato: avrebbero lavorato tutta la notte ed il giorno dopo doveva essere tutto pronto, compresa l’informazione ai cittadini. Eventuali falle nell’operazione sarebbero state affrontate di volta in volta dall’unità di crisi.
Tornati a casa, già al primo notiziario, la TV li informava che entro il giorno dopo sarebbero stati disponibili punti di approvvigionamento acqua: il Molo Sud, il Porto, la Zona Industriale di Ancona Sud, l’Aeroporto, la Caserma dei Pompieri, l’Ammiragliato, l’Ospedale di Torrette e l’Ospedale pediatrico Salesi. La Ditta farmaceutica Angelini per le Grazie e Tavernelle, il Salumificio Taccalite al Pinocchio, la Ditta Giampaoli e l’Azienda Genny alla Baraccola, la Ditta Pirini e la Piscina Comunale per la zona del Passetto, la Piscina Comunale per Vallemiano ed altri per i restanti quartieri.
Ma il fulcro di tutto era il porto: l’acqua di mare, trattata con gli addolcitori delle navi, sarebbe stata portata attraverso mezzi di supporto anche nelle zone e nei quartieri che non disponevano di depuratori, mentre l’acqua resa disponibile dalle ditte e dalle attrezzature già normalmente in uso, a monte dei depuratori sarebbe stata arricchita di sali minerali, così da abbattere la presenza di inquinanti batterici, per poi essere di nuovo addolcita, depurata e resa potabile.
Con estrema cautela ed in un secondo tempo, la sanificazione dei circuiti sarebbe stata eseguita anche nelle tubature dalla Multiservizi di Ancona, in collaborazione con ARPAM, l’Agenzia Regionale per l’Ambiente, così da rendere idonee le acque provenienti da Gorgovivo.
Nel giro di due o tre giorni l’acqua potabile avrebbe ricominciato a scorrere nelle case anconetane.
Rimaneva il divieto di utilizzo dell’acqua dei rubinetti per almeno altre cinquantadue ore: si faceva appello alla popolazione di rivolgersi ai punti di rifornimento.
Lentamente ora nelle strade comparivano cartelli e frecce con le indicazioni dei punti acqua: era partita anche la comunicazione e l’informazione.
Ora le vie, pur nel loro agitato viavai, erano percorse da auto e persone indaffarate, ma non perse nel caos e nella nebbia del “che cosa fare”.
Le regole, se pur cambiate, erano state ristabilite, l’organizzazione sociale aveva ridato un po’ di ordine al caos.
Le forze dell’ordine, di volontariato e numerosi cittadini collaboravano a far funzionare le cose.
Le persone riuscivano persino a superare vecchi rancori e si aiutavano a vicenda, mettendo a disposizione i loro mezzi, le loro attrezzature.
L’iniziale elenco delle ditte si era ulteriormente allungato: già i dipendenti potevano prendere l’acqua nel loro luogo di lavoro, non solo, ma collaboravano volontariamente anche alla sua distribuzione.
Ancona ora mostrava il suo volto migliore.
Anche questa volta gli anconetani, gente un po’ chiusa, con il sacro timore dei cambiamenti grandi e piccoli, ma con la forza di voler superare i problemi, si era rimboccata le maniche e si ricostruiva.
Gente abituata a non avere nulla dall’alto, ma a conquistarsi da sola la vita, pronta a giudicare ma anche ad accogliere, convinta che la vita va accettata e vissuta, e che molto dipende dal saperla costruire con tanta voglia di fare, buone fondamenta, ottime mura ed ampie finestre: quelle del futuro.
Raffaele e Ada spalancarono gli occhi e le orecchie quando, a distanza di qualche giorno, mentre la normalità stava riprendendo gli spazi quotidiani, i loro volti semplici e stanchi comparvero al TG – incredibile, al TG nazionale! -, che li presentò come gli eroi che avevano salvato Ancona, una ridente città affacciata con il suo porto nel medio Adriatico.
Questa volta la città era saltata alla cronaca per i suoi risultati eccezionali.
Ma loro, gli involontari eroi, non si sentivano più degli eletti. Come tutti gli abitanti di Ancona, abituati nonostante tutto ad andare avanti, avevano sentito il bisogno di fare quello che il loro cuore, la loro mente ed il loro spirito suggeriva.
Amavano la città, la vita e tutto ciò che con essa sarebbe arrivato, sapevano che sperare e dare una mano al destino non è mai sbagliato.