Indizi premonitori (di Silvana Nobili)
Tutti conoscono in città la donna alta e imponente che cammina in mezzo alla strada: sul marciapiedi l’avrebbero già ammazzata. Pochi sono a conoscenza del contenuto delle borsette che cambia a secondo dell’umore e che – tra piantine, giornalini, svariati oggetti di bigiotteria, qualche bustina di lievito di birra, nastrini colorati – custodiscono immancabilmente una bottiglia d’acqua e un flaconcino di spirito, sì, di alcool denaturato.
Al cambio della borsa i nastrini possono essere sostituiti con mazzolini di violette di Parma ornate con foglie di giarro, gli anelli con un bracciale regalato da qualche commessa complice di Corso Mazzini, i pinoli e l’uva passa con uno o due baci Perugina, il giornalino dei testimoni di Geova con un depliant della imminente campagna elettorale.
Insostituibili rimangono la bottiglia d’acqua e il flacone di alcool denaturato.
- Me volene mazzà, me sparano alle gambe, me volene mazzà, me volene mazzà, finisce il mondo! – Oh, comprate la radio, la radio non te fa morì – ammonisce uno, due, tre volte ai passanti incuranti – la radio salva – ripete.
Qualcuno la osserva con velato o contenuto disprezzo, qualcun altro con visibile intolleranza, altri la salutano ad alta voce, chiamandola per nome e ostentando umana comprensione o dovuta e scontata amicizia.
Le sarebbe piaciuto chiamarsi Susanna o Vanessa, ma il suo vero nome le si addice per la sua elegante selvatichezza, nascosta dall’imponenza del busto robusto, su cui si adagia il seno abbondante e generoso, che scende a toccare le rugose gambe non meno imponenti delle colonne del Duomo, costrette a sorreggere l’insopportabile peso del corpo.
‘La donna della selva’, questo è il significato del suo nome, normalmente non suscita sentimenti di ira o aggressività: è più facile da sopportare che da accettare o rifiutare, perché porta in sé il senso tragico del destino che la vita le ha assegnato.
Per la sua figura di gigante e bonaria elefantessa, le sue manie persecutorie e ossessive, il suo continuo andare e venire per le vie della città potrebbe essere garbatamente etichettata ‘borderline’, ma ha una famiglia e una casa in cui ritorna ogni sera, nell’ora che la sirena del porto fa sentire il suo lugubre e straziante richiamo di quel giorno in cui, si dice, che una sconosciuta e taciuta infezione si impossessò del suo corpo non ancora adolescente.
Negli anni la dolorosa e contagiosa malattia, seppur mitigata dall’affetto degli oggetti e personaggi che popolavano i suoi giochi e la sua fantasia, la isolò dai suoi coetanei e lentamente modificò le movenze delicate e gentili fino a invadere importanti centri vitali, senza mai sciupare la vivacità e l’intensità del suo sguardo. E diventata adulta, forse per ignorare, abbandonare e sbarazzarsi di qualche cosa che aveva dentro, se ne allontanò per non udirne neanche la voce, incominciando a vagare per le strade.
Sicuramente, ora, è una presenza in città.
- Me volene mazzà, finisce il mondo, tu ce l’hai la radio? – grida ad un passante incurante.
- Me volene mazzà – ripete quella mattina piena di sole, con aria meno decisa e con tono di voce più basso, quasi in colpa per aver attirato lo sguardo della giovane mamma, seduta su una panchina di Piazza Malatesta.
La signora la guarda distratta.
- M’ha preso un collasso cardiocircolatorio.
E prende dalla borsetta il flaconcino dell’alcool e se lo spruzza addosso; apre la bottiglia dell’acqua da dentro la borsa e bagnandosi le dita, quasi in segno di benedizione, come si fa con un immagine votiva, tocca la mano della signora che le è di fronte e che ha appena alzato lo sguardo incuriosita.
- L’acqua salva, finisce il mondo, oh comprate la radio, la radio fa campà, senza radio me sento morì, la radio salva, non fa morì la gente.
La giovane mamma continua a guardarla, distogliendo di tanto in tanto l’attenzione dall’andare e tornare continuo della figlia che urla e che ride dall’altalena di fronte.
E intanto la radio trasmette ‘La storia e le storie di Ancona di ieri e di oggi’ e la voce che esce s’inceppa sul seno abbondante della donna imponente, che scalda la piccola radio nella tasca, lì accucciata da sempre.
- Ed è sul colle Guasco, una vera guasconata della natura, come ci ricorda il Cardarelli, che gli anconetani costruirono la loro cattedrale, non si sa se per mistico intendimento o per capriccio dei marinai, usi ad arrampicarsi sulle corde… Ancona è riottosa e per vederla occorre guadagnarsela, è necessario salire. Dall’alto di San Ciriaco si vede il porto, lì sotto, come un giocattolo.
Scendiamo fino a Piazza Plebiscito, detta Piazza del Papa: intrattenimento e lustro degli anconetani.
La sistemazione della piazza avviene già nel 1430, anno in cui viene squadrata, ampliata ed arredata con la fontana: “il fontanone”, alimentato dalle acque di quella del Calamo. Più tardi avviene la realizzazione del Palazzo del Governo, oggi Palazzo della Prefettura.
Già alla fine del trecento, quando la fondazione dell’ospedale occupava il terreno in cui oggi è situata la statua di Papa Clemente XII, avviene proprio nell’ospedale una guarigione miracolosa attribuita alla Madonna. Ed è allora che viene costruita una nuova chiesa dal cui complesso, che comprendeva anche le carceri, si accedeva, attraverso gli orti, proprio alla Fontana del Calamo, detta delle Tredici Cannelle.
È nel 1739 che viene posta ai piedi della scalinata la statua di Papa Clemente XII e per l’occasione viene anche ridisegnata la scala. Era collocata quasi all’altezza della prima fontana, visibile ancora oggi a fianco della trattoria “La Moretta”.
Se Piazza Plebiscito è il salotto, Piazza Roma è il cuore di Ancona; la piazza nasce nella seconda metà dell’Ottocento, con l’abbattimento delle mura cinquecentesche.
Davanti alla porta del Calamo vi lavoravano, fino a quel momento, i cordai e vi parcheggiavano i carri di coloro che entravano in città.
Nel 1908 al posto delle due fontane preesistenti viene trasferita la fontana dei Cavalli, che serviva per attingere l’acqua e per abbeverare gli animali.
“Non ce vulemo più i gazebo qui per de giò. N’antigo monumento cuscì se trata? Tute ste canele ha da schizà, ma senza paravento! Se no faremo sciopero tra poco: fermeremo l’acqua e sputeremo el fogo(*)”. Per i forestieri in ascolto – continua il conduttore radiofonico – precisiamo che i versi della poesia in vernacolo fanno riferimento alla fonte delle Tredici Cannelle, a cui si può accedere da piazza Roma tramite Corso Mazzini. L’antico nome, d’origine greca, prende spunto dal luogo paludoso e ricco di canne lungo cui scorreva il torrente Pannocchiara, inglobato entro le mura nel Trecento. La fontana venne più volte rimaneggiata e nel Cinquecento assunse l’aspetto attuale.
È documentato che nel 1346, per favorire la lavorazione della lana in città, “fu impiegata una grossa somma per fare grandi masconi e tiratoi per le pannine, nonché la fontana del Calamo, detta ancora delle Tredici Cannelle”. Pariset, nella cronaca dell’entrata dell’esercito piemontese in Ancona, continua dicendo: “… dalla mia finestra… vedevo una turba aggruppata di donne che calano le loro mezzettine dal capo, attingono l’acqua dalla fontana dei Tredici Cannelli e le rimettono in testa e partono cantando le vivaci canzoni del paese. Vedevo tutto quello che può presentare una città egualmente atta alle delizie della vita e agli aspri rigori di un assedio”.
- Vedi, quello è Erode, vole mazzà tutti – continua la donna imponente, indicando un signore in giacca e cravatta che taglia la piazza frettoloso.
- Oh, comprate la radio, la radio salva, non fa morì la gente. M’hanno colpito tutto il giorno, aahh!
Dalla gola le esce un urletto dal tono lirico, scansonato e bambinesco, mentre cede il passo lentamente all’itinerario che si snoda sulle parole del conduttore, che trasmette ininterrottamente la maratona radiofonica di Ancona di ieri e di oggi.
- Con l’annessione allo Stato Pontificio, la repubblica anconetana nel 1532 perde la libertà. È di questo periodo la costruzione della Rocca della Cittadella sulla sommità del colle di Capodimonte. Riporta la guida di Ancona del 1892: “Nei primi anni del 1600 il terribile arnese di guerra aveva toccato il suo concepimento: aveva eretto a 106 metri sul livello del mare, dominante la città e il porto e la circostante campagna, una delle più riuscite e ragguardevoli fortezze d’Italia…”. E ancora con il pretesto di proteggere la città contro l’incombente pericolo ottomano, ma in realtà intenzionato a crearsi una fortezza sul mare Adriatico, Papa Clemente VII chiede e ottiene il permesso dagli anconetani di realizzare a proprie spese un bastione lungo il tracciato delle antiche mura, realizzate nel XII secolo, in corrispondenza del lato nord-est verso il colle Cardeto e a poca distanza dalle ripe del mare. L’opera su progetto di Antonio Sangallo il giovane, nei secoli successivi non fu mai seriamente impegnata in eventi bellici e fu solo durante l’assedio del 1799 da parte dell’esercito russo-turco che il bastione ebbe una parte rilevante nella difesa della città. Durante un bombardamento nell’estate del 1944 il bastione fu colpito da alcune bombe che distrussero lo spigolo sud e provocarono anche la morte di alcune persone. Questa area compresa tra i colli Cappuccini e Cardeto è stata fin dall’antichità destinata a diverse necropoli: picene, ellenistiche, romane e, in epoche più recenti, alle sepolture cattoliche, anglicane, ortodosse ed ebraiche. Qui, infatti, si può ancora visitare il ‘campo degli Ebrei’, 1500mq di terreno affacciato sul mare, tra cespugli, arbusti e olmi. Non dobbiamo infatti dimenticare che già nell’XI e XII secolo in Ancona è presente una comunità ebraica e che la stessa, quando la città perse le colonie di Bisanzio con la caduta di Costantinopoli in mano turca, la salvò dalla fame, industriandosi in piccoli commerci.
E a questo punto, cari ascoltatori, concediamoci un po’ di relax e torniamo indietro nel tempo sulle rime in vernacolo, del nostro caro poeta anconetano Gioacchini…
“Dietro a Monte Cardeto el zole che vien su pianì pianì mischia i riflessi d’oro cul turchino fito del celo. Un sfilacio, un bafeto de nebia sperza verso Borscelì, me pare un pelegrì senza destino… C’era ‘na strada streta, sofogata tra ‘na ripa e ‘na frata in do’ ce bazigava le copiete ‘braciate strete strete per sta’ de libertà per fa a l’amore distante dale lengue e dal rumore… Nun senti più qul’aria misteriosa, pacifica, odorosa de mare, de mentucia e uzemarì, qul’aria rota apena dal ‘cicì’ d’un peto roscio sperzo dal rumore dei suspiri e d’i batiti del core dele copie felice, inamurate, prutete dai cespugli e dale frate… Me so sentito proprio cascà el core; nun era el posto più per fa a l’amore!”. Ma non lasciamoci andare troppo alla nostalgia – continua il conduttore radiofonico – e gustiamoci questo pezzo di natura e di storia di ben trentasei ettari, fino a poco fa zona esclusivamente militare e recentemente prelevato dal Comune, restituito alla comunità e adibito a Parco Cittadino!
Scusandoci con gli ascoltatori, interrompiamo le trasmissioni per una notizia che giunge ora in redazione. I normali controlli dell’acqua potabile, effettuati a campione dall’azienda municipalizzata dei servizi di Ancona, hanno isolato in alcune zone della città un agente batterico sconosciuto. Al momento sembrano escludersi sia la tossicità di tale agente per le persone che eventuali possibilità di contagio. L’équipe del premio Nobel giapponese per la biologia, Haruki Horyama, si sta già occupando degli accertamenti del caso tramite collegamento in videoconferenza con gli esperti della clinica di biologia dell’Università Politecnica delle Marche. L’azienda municipalizzata si scusa per le eventuali interruzioni del servizio di erogazione idrica. Ecco ora alcuni consigli del Ministro della protezione civile su come comportarsi: “Non c’è motivo di allarmarsi. In attesa degli esiti definitivi degli esami di laboratorio è comunque consigliabile bere acqua imbottigliata. Evitare, in ogni caso, il contatto con la pelle, i capelli e qualsiasi tipo di inalazione”.
Alla notizia, la giovane mamma, che non si era più mossa dalla panchina e aveva quasi rubato, sporgendo l’orecchio, i frammenti di storia sconosciuta della città dove era nata e cresciuta, sobbalza, poi rimane di sasso.
- Andiamo a casa, Marina. È tardi! – Grida con tono aggressivo a sua figlia.
Intanto, dopo la sosta tra lo scendere e il salire, la donna imponente va verso casa, tra istanti di dolorosa stanchezza e indefinita melanconia. L’accompagna la radio, che sotto la giacca ha ripreso a trasmettere.
- Comprate la radio ragazzi, oh, ce l’hai le pilette per sentì la radio? – Chiede rivolta ai passanti.
- Sì, c’ha i miliardi: oggi a ‘Roma e Pace’ viene Agnelli. Gli spiriti, a casa mia, finché non risorgeranno i morti daranno fastidio a me. Ahoo, me prendono in giro, ma io non me sposo, mejo magnà pane e formaggio e fa le scampagnate.
Già da un pezzo la luce del faro s’infrange con forza sul vetro di casa della giovane madre che, stanca e preoccupata per la notizia trasmessa, non riesce a calmarsi.
La assale un’angoscia infinita: le sovviene di colpo che la donna incontrata nella piazza, per caso, le aveva bagnato la mano con l’acqua: – Sicuro!! Sono stata contagiata – dice ad alta voce a se stessa per scacciare il pensiero ossessivo, e aggiunge: – Mi ricordo benissimo che, dopo aver lasciato aperta a lungo la cannella di piazza Malatesta, ha riempito la bottiglia di plastica che ha tirato fuori da dentro la borsa e… mio Dio! Marina ha giocato cogli spruzzi, cogli schizzi dell’acqua!
Trema al pensiero di quanto sarebbe potuto succedere.
- Schifosa appestata barbona! No, no! – Il grido le chiude la gola.
Si accerta di non aver svegliato Marina e scoppia in un pianto dirotto.
Poi spegne la luce e accende la radio, in attesa di nuove notizie.
- All’inizio del Novecento Ancona fu la vera protagonista della settimana Rossa.
I moti ebbero inizio durante un comizio antimilitarista, tenuto il 7 giugno 1914 su iniziativa di gruppi anarchici e di giovani repubblicani. Tra i maggiori oratori era l’agitatore anarchico Enrico Malatesta. Si voleva principalmente protestare contro le punizioni inflitte a due soldati che nel 1911 si erano ribellati ai loro ufficiali, rifiutandosi di partire per la Libia.
‘Lucifero’, il giornale repubblicano ancora esistente, ed i fogli anarchici erano la bandiera di battaglia attorno alla quale si riunivano i lavoratori e gli intellettuali più evoluti.
Ancona si trovò quasi fatalmente ad essere centro geo-politico di una zona le cui acque erano fortemente agitate… Cari ascoltatrici e ascoltatori, rimanete con noi. Dopo lo stacco musicale andrà in onda la seconda parte della trasmissione ‘La storia e le storie di ieri e di oggi’, nell’anniversario dell’assedio della nostra città.
Stanca, sfinita, la giovane madre si butta sul divano, chiude gli occhi.
Una figura di donna, ripiena di terra, le è di fronte, separata da una rupe, da una mano straniera; incastrata tra due enormi costoni, da una parte e dall’altra, con i seni adagiati su verdi pendii. Ai suoi piedi il mare si butta con un galoppo di creste schiumose.
Ha lo sguardo della donna imponente che vigile, all’erta, premonisce i passanti. Le sue gambe: due rupi erose da un fiume sotterraneo; la corrente inquinata le corrode e si infila tra le piaghe di carne. Col dolore incomincia a bruciare e incenerisce ogni forma di vita poi, con scatti di enorme potenza, s’infrange, si catapulta, esplode, frana, s’incendia e piomba in mare come un apocalittico mostro marino.
Ma lo sguardo riflesso nell’acqua, come un guizzo di luce, un occhio gigante, sale in alto nel cielo.
La sua luce ruotante si ripete con lampi costanti, preceduti da secondi di un chiarore meno vivo, che vigile, all’erta, premonisce i viaggianti.
- Mamma, la radio è rimasta accesa. È tardi andiamo!- Grida Marina alla madre che si sveglia di scatto e sobbalza dal divano, ancora vestita.
- Un attimo!- le risponde col fiato sospeso.
- Notiziario del mattino. Radioascoltatrici e radioascoltatori, buongiorno. Sembra avere un nome e un movente il colpevole della drammatica storia che ha allarmato tutta la città di Ancona. Il sindaco in un comunicato ha rassicurato i cittadini. Da indiscrezioni è trapelato che un gigante dell’acqua, pare si tratti della multinazionale ‘Suez Lyonnaise des Eaux’, con la complicità di alcuni funzionari locali, avrebbe creato falsi allarmismi per iniziare a controllare i grossi proventi che deriverebbero dalla privatizzazione dei servizi idrici e, in seguito, dalla privatizzazione dell’acqua in tutte le sue forme. Sanno perfettamente che l’acqua è l’unica cosa capace di soddisfare i bisogni primari dell’umanità intera e di spegnere la sete dei 5,6 miliardi di abitanti della terra; stanno quindi preparando il terreno per tuffarsi nel business dell’acqua in bottiglia…
- Mamma è tardi, andiamo!- Insiste Marina già pronta, con lo zaino in spalle.
- Sì, ma andiamo a piedi, perché ho una bella storia da raccontarti.
Il sole è già alto sul mare quando il sibilo della sirena del porto fende l’aria tersa del mattino.
La giovane mamma spegne la radio e sorride alla figlia che la prende per mano.
(*) I versi sono tratti da una poesia di E. Gioacchini.