La fabbrica (di Rosanna Malaguti)
Il giovane industriale Amedeo Brambilla entrò nella sala riunioni aziendale e fu accolto da un silenzio di tomba. Un centinaio di paia d’occhi lo guardò, se non proprio con ostilità, con indifferenza. Amedeo si sentì gelare il sangue nelle vene e, suo malgrado, pensò: – Se ci fosse qui il babbo…
Ma fu un attimo, si guardò attorno con aria spavalda, sorrise e disse: – Buongiorno a tutti!
L’“operazione Ancona” aveva un ruolo fondamentale nei suoi progetti e non doveva farsi prendere dallo scoraggiamento, ma sparare tutte le cartucce a disposizione. Amedeo era il giovane rampollo di una nota famiglia della Milano bene. Suo padre era un industriale di successo. Lui in realtà non era né tanto giovane né un vero industriale. Però, se giovane non poteva più tornarlo – aveva trentacinque anni suonati nonostante che i suoi lo chiamassero ancora ‘ragazzo’ – aveva qualche probabilità di diventare un industriale di successo.
Le premesse c’erano tutte: oltre alla buona famiglia aveva un curriculum scolastico onorevole, una laurea alla Bocconi e, cosa che non guasta, bella presenza.
Forse aveva aspettato un pochino a mettere a frutto le sue doti. Si era laureato alcuni anni fuori corso, come tutti i suoi amici. Aveva poi svolto qualche collaborazione universitaria che era stata, fondamentalmente, un parcheggio per poter continuare a fare vita goliardica a spese della famiglia. Aveva infine fatto una esperienza a fianco del braccio destro del padre in una delle aziende di famiglia senza ottenere alcun successo.
Se da un lato doveva stare attento a non mettere un piede fuori dal seminato per non cadere in disgrazia presso il padre, dall’altro si sentiva da tutti i di lui collaboratori continuamente scrutato, valutato e giudicato. Rientrato a casa, la sera, subiva il terzo grado del padre e non vedeva l’ora di uscire per andarsi a svagare nei locali del centro di Milano.
Ultimamente però erano sempre più numerosi i vecchi amici che avevano messo la testa a posto e disertavano le uscite notturne. Lui iniziava a pensare che così non poteva durare, si sentiva sempre più insofferente e aspettava con ansia crescente che accadesse qualcosa di nuovo.
Il padre, Luigi Brambilla, era uno che si era fatto da solo con pochi studi, una volontà di ferro, tanta esperienza e notevole ambizione. Aveva fiuto per gli affari ed aveva costruito un piccolo impero economico. Aveva nutrito elevate aspettative nei confronti del figlio. Oltre a mandarlo alle migliori scuole aveva sempre cercato di trasmettergli tutte le proprie competenze perché potesse un giorno diventare il suo erede, ma non ne poteva più di vedersi intorno questo ragazzo svogliato e inconcludente. Il fatto che quando, dopo cena, cercava di intavolare con Amedeo un discorso serio sul nuovo piano industriale questi si alzasse col pretesto di un appuntamento importante e sparisse in un batter d’occhio al volante della sua macchina sportiva gli stava procurando l’ulcera. Amedeo non era più un ragazzino e Luigi non voleva portare pazienza ancora a lungo.
L’idea dell’acquisto dell‘azienda marchigiana pareva poter risolvere tutti i problemi. Amedeo avrebbe avuto la sua occasione, lontano dall’opprimente figura paterna, e Luigi avrebbe visto di che pasta era fatto il figlio.
Luigi aveva fatto studiare l’operazione dai suoi esperti di finanza e mercati che avevano dato un responso favorevole. Aveva poi illustrato l’idea al figlio: l’azienda avrebbe fatto capo solamente ad Amedeo, che avrebbe avuto carta bianca nella sua conduzione. Naturalmente si doveva trattare di un vero salto dal trampolino, nell’acqua profonda e senza salvagente, per imparare a stare a galla. Quindi, c’era una condizione: il figlio avrebbe investito tutti i propri averi ed il padre avrebbe messo solo, e non era poco, la differenza. E ci sarebbero state le conseguenze: un successo avrebbe comportato l’ascesa di Amedeo ai vertici dell’impero paterno; una mera sopravvivenza della nuova azienda avrebbe condannato il figlio a rimanere relegato nell’ambiente anconetano a tempo indeterminato; un fallimento lo avrebbe costretto ad accettare un impiego qualsiasi presso qualche fornitore del padre o a cercarsi da solo un’alternativa per sopravvivere, oltre che per rimborsare al padre i soldi buttati.
Amedeo aveva ascoltato la proposta con entusiasmo calante via via che l’idea del padre si manifestava in tutta la sua spietata razionalità, ma ormai non ne poteva più di stare ad aspettare che si presentassero nuove occasioni e, dopo una pausa di riflessione di un paio di giorni, decise che sarebbe andato di persona sul posto a prendere informazioni ed a contrattare il contenuto degli accordi con il proprietario. Se si fosse convinto lui stesso della bontà dell’idea avrebbe accettato.
Era andato quindi ad Ancona ad incontrare alcuni capi dell’azienda, aveva raccolto tutti i dati relativi a bilanci, piani finanziari, fatturato, quote di mercato ecc. Aveva poi studiato tutto quanto con entusiasmo, stavolta, crescente ed era arrivato alla conclusione che sì, questa occasione valeva la pena di giocarsela fino in fondo a qualunque costo.
Aveva elaborato, con l’aiuto degli esperti del padre, i dettagli di quella che aveva battezzato “l’operazione Ancona”. Dopo un po’ che ci lavorava sopra, e ci si era proprio buttato a capofitto dimenticandosi perfino gli appuntamenti mondani, aveva iniziato ad immaginare la propria ascesa nel mondo industriale come una guerra, con strategie da architettare, battaglie da superare, trattati da stipulare, compromessi da raggiungere e, infine, una vittoria da assaporare.
Quando tornò ad Ancona per concludere gli ultimi accordi si sentiva come il conquistatore di una nuova terra, lavorò a tempo pieno in preda all’euforia per diversi giorni consecutivi e al momento della firma, definitiva, del contratto sentì di avere il successo in pugno.
- Sono Amedeo Brambilla e sono il nuovo proprietario dell’azienda. Alcuni di voi mi hanno già conosciuto, ma la maggior parte ancora no ed è per questo che vi ho riuniti qui oggi. Ora vi illustrerò come intendo portare questa azienda ai vertici del mercato.
In sottofondo si iniziò a sentire un lieve brusio. – Intendiamoci: finora i risultati sono stati eccellenti, ma con il vostro prezioso aiuto e la vostra indispensabile collaborazione si potrà fare addirittura molto meglio. Le prospettive…
- Un passero non porta l’oca a bere.
- … del mercato… Eh? Chi ha parlato? Lei, laggiù, dica pure. Quale oca?
- No, no, non la disturbiamo più.
- Ma invece sì, cioè, non mi disturba affatto, anzi, stavo proprio dicendo che con il vostro…
- Volevo dire, ecco, che lei ci dice cosa dobbiamo fare, e noi facciamo quello che ci dice lei.
- E ci mancherebbe… Cioè, la collaborazione è fondamentale, con il bagaglio di conoscenze e di esperienze che avete maturato e con le idee…
- Appunto, lei ci dà gli ordini, e noi eseguiamo. È sempre stato così. Magari uno non è d’accordo, ma mica glielo chiedono se è d’accordo o no. Noi siamo pagati per fare quello che ci dicono.
- Prima c’era un altro, adesso c’è lei, per noi non cambia niente.
- Ascoltate! Io sono un altro, sono nuovo, e le cose andranno diversamente. Non vi piacerebbe che andassero diversamente? Non pensate di avere tante cose da dire?
- Oh sì, anche un bel po’.
- Eh, si vede che è nuovo, ma lei cosa ne sa?
- Io, ecco… Se mi lasciate esporre queste mie idee poi giudicherete da soli. Dunque, le prospettive del mercato…
Aveva terminato il suo discorso: alla fine nessuno aveva più aperto bocca. Era venerdì pomeriggio e aveva sciolto la riunione anticipando che la settimana successiva avrebbe fatto visita ad ogni reparto e incontrato personalmente ogni dipendente. Uscendo rifletteva tra sé e sé che era stato più semplice contrattare con il vecchio proprietario che affrontare gli operai. Bene, si doveva solo armare meglio per le prossime battaglie.
Passò il sabato, fino a notte inoltrata, stilando programmi di lavoro per la settimana successiva e firmando le scartoffie che in pochi giorni si erano accumulate sulla scrivania.
Domenica si svegliò nella sua camera d’albergo che era mezzogiorno. Poteva finalmente approfittare di qualche ora di libertà per fare due passi in centro e vedere le bellezze del posto, sempre che ce ne fossero. Dopo una settimana di lavoro fitto si sentiva in diritto di festeggiare. Parcheggiò la macchina proprio di fronte al teatro delle Muse, un vero colpo di fortuna.
Il tempo certo non aiutava: spirava una bora che tagliava le orecchie e lui era senza cappello. A Milano c’è la nebbia, mica la bora, ed i cappelli erano fuori moda. Tutti i negozi erano chiusi, avrebbero aperto solo nel pomeriggio per i saldi, ed aveva appetito. Preferì rimandare la passeggiata in centro e dedicarsi alle delizie culinarie, le uniche grazie alle quali sapeva dell’esistenza delle Marche, almeno fino a pochi mesi prima. Giunto nella vicina Piazza del Plebiscito vide un ristorante dall’aria accogliente con l’insegna: “La Moretta. Ristorante tipico”. Vi si infilò senza pensarci due volte.
Il ristorante aveva due sale di piccole dimensioni ed arredate con gusto in stile tradizionale. Lo fecero accomodare ad un tavolo vicino all’ingresso e gli portarono il menù e la carta dei vini.
Altri due tavoli erano occupati da due coppie ed uno da un gruppo di quattro uomini. Un televisore era appoggiato su un mobiletto vicino al bancone e trasmetteva i programmi di una emittente locale, Teleadriatica. Poco dopo entrò un signore da solo. Quello che pareva il gestore lo salutò calorosamente, gli strinse la mano e lo fece sedere ad un tavolo all’altro capo della sala.
Il cameriere, dopo aver raccolto l’ordinazione dell’amico del gestore, si avvicinò ad Amedeo: – Cosa ordina?
- Menù stoccafisso, una bottiglia di verdicchio e acqua naturale. Quale verdicchio mi consiglia con lo stoccafisso?
Il cameriere gli mostrò una bottiglia un po’ impolverata che giaceva su uno scaffale decantandone le lodi e Amedeo accettò. Mentre aspettava fece alcune telefonate col cellulare per comunicare a casa ed agli amici che ormai tutto era a posto. A casa gli rispose la madre che gli fece le sue felicitazioni: era orgogliosa di lui e non vedeva l’ora di riabbracciarlo.
Lucia, la madre, soffriva per la lontananza che il nuovo lavoro del figlio avrebbe comportato, ma era contenta della scelta, per motivi diversi da quelli di Luigi.
Vedeva Amedeo sempre attorniato da ragazze carine, simpatiche, intelligenti e profondamente interessate al suo portafoglio, o meglio, a quello dei suoi genitori. Lui aveva per ognuna di loro un interesse passeggero, per fortuna, ma non si dava affatto da fare quanto lei avrebbe voluto per trovare una brava ragazza con cui metter su famiglia e darle qualche nipotino. Se lui era un giovane viziato forse era anche colpa sua, lo ammetteva, ma aveva raggiunto l’età del giudizio e non poteva continuare a sfarfalleggiare con queste perditempo. Quando lei glielo diceva, Amedeo si metteva a ridere e le rispondeva di non preoccuparsi, non c’era da avere fretta perché certe cose capitano quando non te l’aspetti e lui stava benissimo così.
Lucia era convinta che la nuova esperienza, lontano dalle vecchie amicizie e con il carico di responsabilità che comportava lo avrebbe fatto senz’altro crescere. Non metteva neppure in conto l’ipotesi che qualcosa potesse andare storto, Amedeo avrebbe trovato la sua nuova strada, si trattava solo di aspettare.
Il primo tardava ad arrivare ed Amedeo si mise a riflettere sugli avvenimenti degli ultimi giorni. Tutto era filato liscio, o quasi, e non vedeva l’ora che arrivasse l’indomani per ricominciare il lavoro. O meglio, tutto era filato quasi liscio, perché si ricordò di alcuni dettagli poco chiari del materiale che gli era stato fornito. Non aveva trovato la documentazione di tutte le transazioni con i clienti esteri. Anche qualcosa sugli acquisti di materie prime non era ben dimostrato. Si dimostrava particolarmente basso il costo del venduto e avrebbe dovuto dedicare i prossimi giorni a capire come mai una tecnologia non proprio all’avanguardia permettesse questo risultato, ma gli utili indubbiamente c’erano e questi avevano fatto superare ogni dubbio. Lui in poco tempo era riuscito a svolgere una gran mole di lavoro. Si era solo scordato di firmare le nuove polizze assicurative furto e incendio. Il precedente proprietario aveva infatti disdetto tutte le polizze a seguito di un furto di alcuni PC avvenuto in ufficio, furto che non gli era stato risarcito e, date le trattative per la vendita dell’azienda, non si era preoccupato di stipulare quelle nuove. Ci aveva pensato Amedeo spuntando condizioni favorevoli ed i documenti gli erano arrivati proprio venerdì pomeriggio. Tutte le altre incombenze urgenti lo avevano distratto e le vecchie polizze erano scadute alla mezzanotte del giorno prima.
Questi pensieri furono spazzati via dal profumo dei rigatoni al ragù di stoccafisso che gli furono serviti con tante scuse per il ritardo. Ormai era rimasto l’unico cliente a dover pranzare, le due coppie erano uscite e gli altri stavano sorseggiando l’ultimo bicchiere di vino.
Mangiò e bevve di gusto, trovò tutto ottimo e fece i complimenti al cameriere che non gli aveva chiesto nulla.
Quando gli portarono il sorbetto era rimasto solo lui e si sentiva solamente lo speaker del notiziario della televisione locale: – Interrompiamo le trasmissioni per una notizia che giunge ora in redazione. I normali controlli dell’acqua potabile, effettuati a campione dall’azienda municipalizzata dei servizi di Ancona, hanno isolato in alcune zone della città un agente batterico sconosciuto. Al momento sembrano escludersi sia la tossicità di tale agente per le persone che eventuali possibilità di contagio. L’equipe del premio Nobel giapponese per la biologia, Haruki Horyama, si sta già occupando degli accertamenti del caso tramite collegamento in videoconferenza con gli esperti della clinica di biologia dell’Università Politecnica delle Marche. L’azienda municipalizzata si scusa per le eventuali interruzioni del servizio di erogazione idrica. Ecco ora alcuni consigli del Ministro della Protezione Civile su come comportarsi: “Non c’è motivo di allarmarsi. In attesa degli esiti definitivi degli esami di laboratorio, è comunque consigliabile bere acqua imbottigliata. Evitare, in ogni caso, il contatto con la pelle, i capelli e qualsiasi tipo di inalazione”.
- Scusi tanto, mi può dire se l’acqua nella brocca è di bottiglia?
- Adesso vado ad informarmi.
Il cameriere tornò ed appoggiò il conto sul tavolo, davanti ad Amedeo: – Ecco il conto, mi spiace metterle fretta, ma stiamo per chiudere.
- E l’acqua, si è informato?
- Il cuoco è già andato via, io non so nulla.
Amedeo rinunciò a un ultimo bicchiere d’acqua, finì il vino anche se si sentiva un po’ brillo e pagò il conto con la carta di credito.
Uscì e una folata di vento lo colse in pieno: si rialzò il bavero della giacca e infilò i guanti. Camminò fino a Corso Mazzini chiedendosi se l’acqua di Ancona poteva esser peggio di quella di Milano, agente batterico o no.
La notizia l’aveva colpito, ma era sicuro di non voler tornarsene a Milano per un po’ d’acqua sporca. E poi era meglio sentire il notiziario nazionale per aver conferma della notizia, magari questi anconetani, rifletteva, avevano manie di grandezza ed era tutto un pretesto per mettersi in mostra con quel premio nobel giapponese.
Non voleva neppure rinunciare a un buon caffé, entrò in un bar e ordinò: – Caffé!
- Hanno appena dato una notizia, ne stavamo giusto parlando. Non si può usare l’acqua!
- Ho sentito: usi l’acqua della bottiglia.
- Ah, va bene, dicevo per lei. Io fra poco chiudo, non si sa mai.
- Io vado a dare subito la notizia a casa. Ciao – disse un avventore e uscì. Lo stesso fecero gli altri pochi secondi dopo.
- E lei cosa pensa di fare? L’acqua è indispensabile, come si fa senz’acqua? Ma lei non è di qui, si sente da come parla – disse il barista.
Amedeo stava portando la tazzina fumante alle labbra e improvvisamente si fermò: – ma… la tazzina… con cosa la lavate?
- Gliel’ho detto signore, io dicevo per lei…
Si sentì ridicolo con la tazzina a mezz’aria e si affrettò a bere.
- Io, che fare? Ci devo pensare… L’acqua viene?
Il barista aprì il rubinetto per un attimo scostando il corpo il più possibile dal getto d’acqua.
- Eccome se viene, anzi, più di prima.
- Allora non sarà grave! Mi dica: se volessi visitare un bel posto di Ancona, cosa mi consiglia?
- È un turista? Non ha scelto il momento giusto. Vada al Duomo, c’è un bel panorama, oggi la giornata è limpida e merita. Io qui chiudo e vado a casa, e mi porto via tutte le bottiglie d’acqua.
Amedeo uscì dal bar, andò a destra e poi alla prima traversa di nuovo a destra, in salita, come aveva detto il barista. La gente che vedeva per strada appariva un po’ trafelata. Probabilmente qualcuno aveva sentito la notizia, aveva subito avvertito altri e tutti si affrettavano ad andare ad avvertire amici e parenti.
Se ci fosse stato veramente qualcosa nell’acqua, pensava, da quanto tempo era lì? E quanti si erano già infettati? Tutti sembravano normali. Poteva trattarsi di una malattia con un periodo di incubazione. Poteva succedere che la gente si ammalasse proprio per la paura di qualcosa di misterioso. Se fosse successo così ai suoi dipendenti sarebbe stato un guaio, con tutto il lavoro che c’era da fare! Provò a immaginare quanto gli poteva costare comprare acqua minerale per far funzionare tutte le macchine, lavare le attrezzature a fine giornata, pulire tutto l’edificio. Considerò che questo sarebbe stato nulla in confronto alle perdite dovute alla chiusura della fabbrica anche per solo giorno.
Senza accorgersene era ripassato per Piazza del Plebiscito e stava salendo faticosamente verso il duomo. Non era abituato a fare fatica, a Milano non ci sono le salite. Però così si stava riscaldando. E il suo cervello si stava addirittura surriscaldando. Se tutti si fossero dati per malati, la fabbrica avrebbe chiuso almeno per tre giorni. Con una settimana o più di ritardo non solo si perdevano gli utili, ma anche i clienti. E quindi si sarebbero avute perdite anche nei mesi successivi. I clienti non spuntano come funghi, e la concorrenza non aspetta altro che un momento di debolezza per sferrare un’offensiva mortale. Per un attimo si immaginò antico comandante di un esercito assediato in una città protetta da mura nell’atto di dare il comando di rovesciare pentoloni di acqua bollente sui nemici all’assalto. Almeno lì poteva essere utile l’acqua, contaminata o no.
Nonostante il fiatone andava a passo sempre più svelto e senza accorgersi del panorama che si allargava salendo. Rimuginava su totali, stilava bilanci, sottraeva perdite, vedeva una cifra finale rossa. Ricordava di aver buttato nell’impresa tutto ciò che aveva, sicuro di guadagnare altrettanto. Non vedeva il porto, non vedeva le navi da crociera e da trasporto ancorate ed il mare argenteo in lontananza.
Arrivato davanti al Duomo andò meccanicamente sullo spiazzo del belvedere.
Si appoggiò con entrambe le mani al muretto della balaustra.
Ansimava.
La sua mente calcolava. I suoi occhi vedevano solo cifre. Le sue orecchie sentivano la voce dell’operaio: – Un passero non porta l’oca a bere.
E poi sentiva la voce del padre: – Devi imparare a stare a galla. Devi imparare a nuotare.
E come un pugno allo stomaco sentì ancora suo padre dire: – Sapevo che avresti fallito.
- Sapevo che era un fallimento – disse un tizio che parlava con un altro a poca distanza da lui. Amedeo tornò faticosamente alla realtà. Si mise in ascolto.
- La colpa è tutta della fabbrica di conserve. Ci lavora un’amica di mia moglie e sappiamo tutto.
- Sì, ma adesso paghiamo tutti, invece doveva pagare solo lui, quel delinquente.
- Lui però ha mollato tutto, ha trovato il fesso che ha rilevato l’azienda e se n’è andato all’estero. Chi lo becca più!
Fece qualche passo verso i due. Le gambe gli tremavano. – Ha detto la fabbrica di conserve? Cosa sa della fabbrica?
- Lo sanno tutti che qualcosa non funziona laggiù. Ah, lei non è di qui… Cos’ha, non si sente bene? Non è abituato alla bora?
- Cosa sa della fabbrica? – ripeté senza curarsi delle domande dell’altro.
- So che la grana doveva scoppiare in un modo o nell’altro, ma chi si aspettava questo casino. Sa come le facevano, le conserve? Chissà quali surrogati, quali schifezze mettevano, e poi vendevano tutto all’estero, nessuno sa dove e a chi, e che fine faceva la roba. E chissà cosa è finito nella falda, che disastro…
- Ma, ma… di quale fabbrica parla… – disse balbettando, mortalmente pallido.
- Guardi, si vede anche da qua.
E indicò col dito verso la periferia a nord-ovest della città.
Nel punto indicato si levava un pennacchietto di fumo, subito disperso dal vento.
Amedeo faticò a riconoscere la sagoma della sua fabbrica, avvolta come era dalle fiamme che la divoravano.
Fu l’ultima cosa che vide.